Il materano Antonio Esposito, esponente del centrosinistra materano, presenta una proposta per far rinascere il centrosinistra nella città di Matera.
Matera oggi si trova in bilico tra un passato che non funziona più e un futuro che ancora fatica a nascere. La storia recente delle elezioni comunali ha dischiuso, come una ferita, ciò che per troppo tempo si è preferito ignorare: una sinistra divisa, smarrita nei propri labirinti interni, con un elettorato che si ritrova a votare senza sentirsi davvero rappresentato. Il voto non ha incoronato né una vittoria piena né una sconfitta definitiva, ma ha lasciato sul terreno il segno tangibile di un’opportunità mancata. Non un punto di arrivo, ma uno spartiacque.
In questo scenario, il sindaco eletto Antonio Nicoletti – persona stimata, ma priva di una maggioranza consiliare – diventa simbolo di un paradosso: legittimato dal popolo ma sprovvisto di strumenti per governare davvero. Un’anomalia democratica che impone a tutti, in particolare al campo progressista, un’analisi lucida e onesta, spogliata da narcisismi, rivalità e logiche di corrente.
Il centro-sinistra materano è oggi un corpo frammentato, privo di un’anima collettiva e lacerato da personalismi, vendette trasversali e derive autoreferenziali. È un insieme di mondi litigiosi incapaci di leggere la realtà, di interpretarla, di unire e di unirSI. E si sa, la somma delle debolezze non costruisce mai una forza. Tanto più in una città che non chiedeva altro che ascolto, partecipazione, giustizia e concretezza, e alla quale siamo riusciti a rispondere con i soliti giochi di potere, i veti, le preclusioni, le miopie strategiche, che alla fine hanno partorito un sindaco espressione dell’estrema destra e frutto di candidature imposte dall’alto. Bravi. Complimenti. Bel disastro.
Sento parlare di simboli…ma più che sui simboli servirebbe interrogarsi su chi li ha incarnati negli ultimi dieci anni, e con quale spirito. L’esclusione, la guerra tra bande, la mancanza di visione sistemica, hanno scavato un solco profondo tra i partiti e i cittadini. Chi ha voluto “punire” un compagno di viaggio, ha finito per umiliare l’idea stessa di alternativa, di rilancio, e ha fatto vincere il rancore, non la speranza.
Eppure, proprio in situazioni come queste, può annidarsi un principio rigenerativo. Perché ciò che è accaduto a Matera non è solo una sconfitta politica: è una rivelazione antropologica. La gente non chiede formule, non crede più alle alchimie di palazzo, agli interessi contingenti, ai veti reciproci. Chiede verità, concretezza, affidabilità. E soprattutto, chiede rispetto.
Perché nel mentre questa guerra fra bande contunua…Matera è ancora lì, con le sue periferie ferite, i suoi giovani in fuga, i suoi quartieri che chiedono voce. La vera sfida non è recuperare un consenso perduto, ma ricostruire un senso collettivo. Serve una rivoluzione gentile e radicale: un reset profondo, umano e politico.
A Matera serve un laboratorio “riformista”, che riporti al centro i valori originari del progressismo, dove la diversità delle sensibilità non sia un ostacolo ma un valore da mettere a sistema in un contesto più ampio e inclusivo per favorire un progetto davvero unitario, in cui i partiti siano strumenti e non padroni del cambiamento, consapevoli che l’aderenza alle ideologie – se assolutizzata – può diventare cecità. Per vincere, oggi, non basta dire di “avere ragione”: occorre farsi comprendere, costruire fiducia, saper scegliere i momenti in cui il compromesso è una virtù e non un tradimento.
Per iniziare a dare vita a tutto questo (o quanto meno provarci) non serve un congresso di partito, serve un congresso di popolo. Il nuovo centro-sinistra non può che nascere dal basso, da un ascolto autentico e non paternalista, da un’alleanza tra generazioni, competenze, esperienze civiche, territori periferici e centri pensanti. Servono assemblee popolari, luoghi veri di confronto, non tavoli blindati. Serve smettere di guardarsi allo specchio e iniziare a guardare fuori, ascoltare di più e parlare di meno. Serve un codice etico prima ancora che un programma elettorale. Serve una grammatica dell’umiltà: chi è stato responsabile del fallimento degli ultimi anni, oggi deve saper tacere, accompagnare, sostenere, non continuare a colonizzare il futuro.
È il momento di incontrarsi, parlarsi, discutere e stringere un patto – se riusciamo – fondato su valori forti e condivisi, su idee coraggiose, su leader credibili, su reti civiche vere in grado di consegnare e consegnarci un’idea di città da oggi ai prossimi 20 anni. Una visione che metta al centro i giovani, gli anziani, i fragili, i disoccupati, e che sappia fare sintesi fra vari temi che stanno a cuore agli elettori (come la giustizia sociale, l’ecologia integrale, la rigenerazione urbana, l’ambiente, lo sport, l’inclusione, il lavoro dignitoso, la scuola pubblica, la cultura, l’europeismoe) in un contesto di partecipazione popolare in grado di proiettarsi verso il futuro. Dobbiamo farlo con parole nuove, con linguaggi comprensibili, con volti credibili, non limitandoci soltanto a vincere le elezioni, ma puntando a governare il cambiamento.
I prossimi mesi devono essere quelli di una ricostruzione culturale. In questa sfida, c’è spazio per tutti coloro che vogliono bene a Matera, ma chi vuole essere protagonista di questo tempo nuovo dovrà avere il coraggio di mettere da parte il proprio ego e fare un passo indietro per favorire un avanzamento collettivo, rimettendo al centro il bene comune.
Basta con i professionisti della politica, basta con i riciclati, gli eterni candidati, i gestori delle tessere. La città chiede aria nuova, volti nuovi, sguardi liberi, non per rottamare ma per rifondare. Matera non ha bisogno di nuovi padri (o padroni) ma di fratelli e sorelle maggiori che si prendano cura del destino collettivo. Bisogna trovare il coraggio di ricominciare ma la maturità di non ripetere gli errori.
Da Matera (che può essere promotore e modello di riferimento per la regione e il Paese intero), si avverte il bisogno di un nuovo umanesimo politico, capace di riscrivere la storia della nostra società civile, partendo non dalle segreterie, ma dai marciapiedi, dalle scuole, dai campetti di quartiere, dai presìdi culturali. E allora sì, potremo dire che da questa crisi – dura, profonda, dolorosa – sarà nato finalmente un nuovo centrosinistra degno di questo nome e di questa città.
La politica, d’altronde, è servizio, è visione, è comunità. Chi lo ha dimenticato, faccia un passo di lato. Chi lo ricorda, inizi a costruire.
e la chiami proposta una mera intenzionalità di buonismo? Un partito è il più grande mediatore tra il popolo e l’istituzione stato che ha il potere autoritativo con cui spende soldi e decide la qualità della vita delle persone. Una proposta deve far capire come strutturare con persone ed organizzazione un soggetto politico capace di essere mediatore pe ril bene dei ictadini. la crivi viene da lì, un soggetto privo di unitarietà, quindi disorganizzato, che non ha avuto possibilità di esprimere persone nella pubblica amministrazione che fossero capaci di indirizzare le risorse per il bene dei cittadini. La proposta richiede tecnicismo con cui selezionare o allevare i futuri candidati, su quale organizzazione è utile per realizzare l’agognata democrazia partecipativa dei cittadini alla gestione della cosa pubblica. fino a che si tace su queste cose, si vede che si ha paura tanto della democraticità dal basso o partecipativa tanto di candidati bravi e preparati, ma si continuata ad ingannare gli elettori per ritagliarsi uno spazio nel cerchio magico regionale.
Non ho la tessera di alcun partito, ma dico ciò perché è il dramma di ogni partito.